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Il CEO di Instagram svela come funziona l'algoritmo

Di recente, il CEO di Instagram, Adam Mosseri, ha condiviso un nuovo Reel sul suo profilo, seguito da approfondimenti sul blog ufficiale della piattaforma, suscitando un grado interesse maggiore rispetto ai suoi classici contenuti, in quanto sembrerebbe svelare il funzionamento del tanto discusso algoritmo, capace di affossare o elevare alla massima diffusione i contenuti condivisi sulla piattaforma.

Come funziona l’algoritmo di Instagram?

Prima di immergerci nell’analisi descrittiva delle parole condivise da Mosseri, è importante comprendere l'importanza dei Reels di Instagram all'interno della piattaforma. Se ormai risulta superflua la spiegazione di cosa siano i Reel, potrebbe, invece, risultare utile spiegare come mai questo formato sia diventato estremamente popolare: oltre l’oggettiva utilità per gli utenti di mostrare il proprio talento, intrattenere il pubblico e raggiungere nuovi follower, il formato Reel è stato ampiamente supportato e “spinto” dalla piattaforma stessa. Il motivo è semplice: mantenere alta la concorrenza con quello che al momento è l’unico vero competitor, TikTok, basato totalmente su contenuti video.

Quindi, dal momento che la condivisione di contenuti in formato Reel risulta essere favorita dalla piattaforma, la creazione di questi brevi video è diventata materia di grande impegno, sia tra i creator più in voga che tra gli utenti classici. Non si può negare che la loro creazione richieda lavoro e capacità, dall’ideazione alla realizzazione. Realizzare un video breve ma coinvolgente, targettizzato ma di ampio respiro, qualitativamente alto ma che mantenga anche un elevato grado di genuinità, è qualcosa che costa effettivamente tempo e dedizione. Ecco perché, quando a lavoro completato non si ottengono i risultati sperati in termini di insight, viene spontaneo chiedersi il perché, così come viene spontaneo attribuire alla piattaforma stessa un certo grado di responsabilità, soprattutto se ci si accorge di variazioni nei dati, apparentemente fuori controllo.

Le parole del CEO di Instagram

L'obiettivo del CEO durante questo video, sembrerebbe quello di spiegare, finalmente, agli utenti il meccanismo che si cela dietro la propagazione dei contenuti e dimostrare che il team dietro la piattaforma è impegnato solo ed esclusivamente a migliorare l'esperienza utente, continuando ad incoraggiare la creazione di contenuti video e foto. Ci spiega, allora, come funziona il famigerato algoritmo e ci informa che l’altrettanto famigerato “shadowbanning” non esiste.

È abbastanza scontato che questa modalità di comunicazione, questa interazione diretta tra il CEO e gli utenti, viene utilizzata per creare un senso di partecipazione e inclusione, nel tentativo di rafforzare il legame tra Instagram e i suoi fruitori, creare un’idea di comunità che lavora insieme per elevarsi a vicenda, ma è davvero così?

Come migliorare le tue performance si Instagram

“Ogni sezione della piattaforma - Feed, Storie, Esplora, Reels, Ricerca e altro - utilizza il proprio algoritmo adattato al modo in cui le persone lo utilizzano. Le persone tendono a cercare i loro amici più stretti nelle Storie, utilizzare Esplora per scoprire nuovi contenuti e creatori e divertirsi con i Reels. Classifichiamo le cose in modo diverso in queste diverse parti dell'app.”

Questo è sostanzialmente il succo di quello che Mosseri ci comunica: esistono diversi algoritmi, che funzionano in modo differente per ogni sezione della piattaforma e lavorano in base alle azioni generiche che ogni utente compie. Poi ci parla di “segnali” che la piattaforma capta e attraverso i quali l’algoritmo lavora. I “segnali” che gli utenti lanciano per far funzionare l’algoritmo sono diversi e numerosi e Mosseri ne fa un lungo elenco diviso per ogni sezione dell’app. Riguardano le azioni principali che ogni utente può compiere: segnali riguardo alla persona che ha postato, segnali riguardo alle azioni svolte dall’utente, segnali riguardo al contenuto condiviso ecc… Poi ci dice:

“Più probabile è che tu compia un'azione e più importanza attribuiamo a tale azione, più in alto vedrai il post.”

Sembrerebbe quindi che i diversi algoritmi, basati ognuno su determinati segnali che l’utente dà alla piattaforma, funzionino in base al calcolo delle probabilità di quanto ogni utente possa o non possa mettere in atto un’azione. Ma questo non basta, infatti Mosseri ci parla di un “ranking process che viene usato per personalizzare l’esperienza dell’utente” e che si basa invece su processi di machine learning per l’analisi dei dati e per creare modelli di predizione di interesse o rilevanza.

Cosa dichiara il CEO di Instagram nel celebre video sullo shadowbanning

Nella seconda parte del video Mosseri ci rassicura del fatto che il cosiddetto “shadowbanning”, non esiste. Questo termine è stato infatti coniato dalla comunità di utenti di Internet e non è attribuibile a una singola persona o fonte ufficiale. Il concetto di shadowbanning si riferisce alla pratica in cui un utente viene silenziosamente o segretamente penalizzato da una piattaforma online, rendendo i suoi contenuti o messaggi meno visibili agli altri utenti, senza che l'utente stesso ne sia consapevole. Sebbene questa pratica possa essere utilizzata per combattere lo spam, il comportamento inappropriato o altre violazioni delle regole delle piattaforme online, Mosseri ci rassicura che se ci sembra di essere vittime di shadowban, “la verità è che la maggior parte dei tuoi follower non vedrà ciò che condividi perché la maggior parte guarda meno della metà del proprio Feed.”.

Per assicurare trasparenza, infatti è stata inserita la features “Stato dell’account” attraverso il quale chiunque può controllare lo stato del proprio account senza aver paura di essere vittima di shadowban perché, grazie a questa features:

“Se qualcosa rende i tuoi contenuti meno visibili, dovresti essere informato a riguardo e avere la possibilità di fare ricorso. […] per aiutarti a comprendere perché i contenuti del tuo account potrebbero non essere idonei per essere consigliati, consentirti di eliminare eventuali contenuti che influiscono sul tuo account e fare ricorso alla decisione se pensi che abbiamo commesso un errore.”

In conclusione sembrerebbe che l’algoritmo, anzi i numerosi algoritmi, siano stati istruiti a dare sempre maggiore visibilità organica e condivisa tra tutti gli utenti della piattaforma, personalizzare l'esperienza dell'utente, fornire sempre contenuti rilevanti e interessanti sulla base dei loro interessi, comportamenti e interazioni passate. Così come sembrerebbe che lo shadowban sia una leggenda inventata da chi non riesce a raggiungere la visibilità che pensa di meritare o gli obiettivi prefissati in termini di insight.

È dichiarato chiaramente che è proprio nel totale interesse della piattaforma fare in modo che i contenuti girino il più possibile in modo organico, perché è così che si creano le connessioni che rendono utenti e creator contenti della piattaforma, in modo che venga utilizzata sempre maggiormente. Tutto il funzionamento della piattaforma quindi, nelle parole di Mosseri, sembra strutturato in modo da favorire la propagazione organica dei contenuti, ma il nodo rimane!

“Per Instagram il business funziona meglio ampliando la visibilità per coloro che creano i contenuti più coinvolgenti e vendere annunci agli altri.”

Ecco che i contenuti che generano un alto livello di engagement tendono ad avere una maggiore visibilità e possono essere mostrati a un pubblico più vasto, contribuendo così a stimolare ulteriormente l'engagement. Ma se i creator che creano contenuti più coinvolgenti (quindi i creator che hanno un alto engagement) hanno maggior propagazione, chi sono “gli altri” a cui vendere invece le ads?

 

di Giulia Ricci
Data: 13 Giugno 2023
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